IMMOBILE ANTIECONOMICO: ME NE POSSO “SBARAZZARE”?
- Avv. Marco Dantone

- 1 set
- Tempo di lettura: 3 min

Immaginiamo il seguente scenario: Tizio è proprietario di una serie di terreni ed immobili privi di alcun valore economico siti in un Comune remoto della Penisola. Non solo. Tutti gli anni è costretto a sostenere ingenti spese per la manutenzione di queste proprietà, nonché a pagare i relativi tributi.
Tizio vorrebbe liberarsi di questo peso, ma non trova nessuno disposto ad “accollarsi” questi beni neanche a titolo gratuito.
Ora la domanda è: si può semplicemente rinunciare alla proprietà di un immobile?
Sul punto sono di recente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23093 dell'11 agosto 2025, dirimendo un importante contrasto tra due differenti correnti giurisprudenziali.
La prima corrente ammetteva senza limiti la rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare, ritenendo che tra le facoltà del proprietario vi fosse anche quella di “abbandonare” il bene tramite un atto unilaterale e non ricettizio con effetti solo indiretti sui terzi.
Tra le varie norme a sostegno di tale tesi, veniva citato l'art. 827 c.c., che prevede un'ipotesi di acquisto automatico da parte dello Stato degli immobili vacanti. Questa norma sarebbe stata, pertanto, compatibile proprio con l'esistenza di questa facoltà in capo al proprietario di un bene immobile.
La corrente contraria, invece, riteneva che norme come l'art. 827 avessero carattere meramente residuale. Infatti, non sarebbe stato possibile immaginare una proprietà immobiliare acefala.
In ogni caso, poi, non si sarebbe potuto ammettere senza limiti l'esercizio di una facoltà di rinuncia ai beni immobili generalizzata, senza tenere in considerazione le conseguenze sui terzi e la meritevolezza o meno dell'operazione.
Il timore evidente riguardava proprio il caso in cui la rinuncia avrebbe comportato l'acquisizione automatica del bene da parte dello Stato in forza della norma di cui sopra, perché il proprietario di un immobile antieconomico avrebbe potuto riversare sullo Stato – e, quindi, sulla collettività – una spesa che non avrebbe più voluto sostenere.
Sarebbe stata, quindi, necessaria o un'accettazione del terzo (in particolare dello Stato) o almeno un vaglio giudiziale circa la legittimità della rinuncia, per scongiurare atti emulativi o abusi del diritto:
“L'immobile mi costa troppo? Ci rinuncio così scarico sul bilancio dello Stato la spesa”.
Le Sezioni Unite, con la predetta sentenza, non solo accolgono definitivamente l'interpretazione secondo la quale la rinuncia abdicativa alla proprietà di un bene immobile sia assolutamente legittima in quanto semplice espressione della dismissione di un diritto (e che, quindi, non richiede nessuna accettazione da parte del terzo), ma chiarisce che non può neanche essere espresso un giudizio di legittimità da parte del giudice sui motivi che hanno portato il proprietario alla rinuncia, essendo ammissibile anche il semplice "fine egoistico" che ha condotto a spogliarsi del bene.
Se così non fosse, infatti, un soggetto sarebbe costretto a restare proprietario di un bene per generici motivi di interesse generale (per esempio, per non aggravare il bilancio statale) che, però, non trovano uno specifico riscontro nell'ordinamento.
Quindi, la rinuncia abdicativa della proprietà di un bene immobile risolve ogni problema del proprietario?
Non proprio. Sono necessarie tre importanti precisazioni:
1) la rinuncia non è liberatoria, quindi, ogni spesa o responsabilità che fosse sorta prima della rinuncia rimane in capo al rinunciante;
2) viene sempre fatto salvo il diritto di revocatoria da parte dei creditori del rinunciante al fine di chiedere la nullità dell'atto di rinuncia;
3) la rinuncia, riguardando la proprietà di beni immobili, deve essere fatta con atto pubblico o scrittura privata (art. 1350 c.c.).
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(Fonti ed approfondimenti: artt. 827, 832 ed 833 c.c.; art. 42 cost; Cass. SS.UU. nn. 23092/2025 e 1907/1997).




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